Sui temi ecologici c’è tuttora un diffuso scetticismo, in parte a causa di una contro-informazione lautamente stipendiata da multinazionali inquinanti, in parte a causa della relativa lentezza che i disastrosi effetti dei mutamenti antropogenici impiegano per manifestarsi.
In particolare, un amico che lavora in environmental communication era interessato al rapporto fra cinema ed ecologia e gli ho immediatamente suggerito Koyaanisqatsi (1982), pellicola sperimentale priva di dialoghi e trama, che contiene soltanto immagini (prevalentemente in time lapse) e sonoro (splendida colonna sonora di Philip Glass).
Il titolo in lingua Hopi (un dialetto azteco) significa “vita priva di equilibrio”, e si riferisce ovviamente allo stile di vita frenetico dei paesi sviluppati e in via di sviluppo e all’impatto devastante del consumismo sfrenato. Se un osservatore sensibile è disposto ad affrontare il rischio di un film senza trama né parole, si troverà coinvolto in una delle esperienze cinematografiche più intense ed originali mai concepite.
L’accostamento ardito fra scenari urbani e microurbani e sconfinate vedute naturali crea un’atmosfera di grande impatto, oltre a fornire un raro supporto visivo (furono necessari quasi dieci anni di riprese) in grado di offrire una prova tangibile del degrado ambientale che l’uomo sta imprimendo alla natura. Koyaanisqatsi è il primo episodio (e il più celebre) di una trilogia, così come tre sono le profezie Hopi a cui la trilogia fa riferimento:
- Se estraiamo tesori dal sottosuolo, attireremo disastri.
- Vicino al giorno della Purificazione, ci saranno ragnatele trascinate avanti e indietro nel cielo.
- Un contenitore di ceneri potrebbe un giorno cadere dal cielo, bruciare la terra e bollire gli oceani.
★★★★☆