
Tra i volumi di Pasqualotto, quello che preferisco è senz’altro Estetica del vuoto. Una concisa e sottile panoramica sulle forme artistiche giapponesi legate da un minimo comun denominatore senza forma: il vuoto.
Il vuoto è da sempre uno spunto di riflessione fondamentale per le culture dell’Asia orientale. Il Daodejing fa l’esempio del vuoto che passa tra i raggi di una ruota, nella cavità di un recipiente, dentro e fuori da una stanza; il pieno garantisce profitto (利), il vuoto permette l’uso (用). In Giappone molte forme artistiche esasperano la presentazione del vuoto.

Una strategia, secondo Pasqualotto, “con cui si ottiene una riduzione al minimo degli elementi impiegati, alla quale corrisponde un’espansione al massimo delle loro qualità e, di conseguenza, si producono le condizioni per un massimo di intensità percettiva”.

Uno degli esempi che preferisco è il karesansui, il “paesaggio secco” vuoto e spoglio, diretta emanazione dello Zen che trova qui un modello insuperato. Ritagliato dalla natura circostante, con cui stride in un contrasto austero, il giardino rimane identico in tutte le stagioni mentre la natura intorno fiorisce, ingiallisce, appassisce.
Questa estetica, che esprime una coerente visione del mondo, esprime il fatto che “tutti gli eventi, compresi quelli che determinano la propria coscienza e, quindi, anche questa consapevolezza, sono permeati dallo stesso vuoto che in poco tempo fa diventare fiore un germoglio e che in poco tempo lo fa anche appassire. Non a caso il carattere di «fiore» 花 condensa il significato non di una cosa ma di un processo”.
Tutte le cose mutano e cambiano, l’unica cosa che non cambia è il vuoto che rimane tra le cose. La ghiaia e le rocce sono una manifestazione del vuoto che nella visione buddhista è il tessuto che tiene insieme tutta la realtà, proprio come un tessuto, una trama che alterna spazi vuoti a collegamenti, nodi, intersezioni.
Il lavoro di Pasqualotto è stato in gran parte proprio questo: esaltare la bellezza del vuoto per tessere trame e relazioni con culture distanti, ancora poco comprese, oscure. Una tela lunga una vita, che occupa il vuoto che lascia, e di cui rimane una traccia indelebile nei suoi libri.