Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).
In Pusher 3 Milo si salva, contemplando in epilogo la vanità e lo squallore delle proprie azioni nello specchio offuscato di una piscina vuota, simbolo che tornerà in The Neon Demon (Nicolas Winding Refn, 2016). Uno specchio ormai incapace di restituire un riflesso al mostro che vi si affaccia.
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In Pusher 3 la dipendenza diviene insomma un tema centrale, assillante, ma in Pusher aveva già raggiunto una compiuta e mirabile sintesi espressiva: Vic e Frank rientrano dopo una serata insieme. Il montaggio li separa con dolcezza, lui fuma una canna a letto, davanti all’alone bluastro del televisore, lei sola alla toilette, con un cartone di latte al cacao e una siringa di eroina. Non c’è alcuna apertura alla pienezza dell’eros, che realizza l’acme del godimento attraverso la domanda dell’altro. All’opposto, la pratica tossicomanica “assume le forme ciniche di una chiusura del desiderio nel godimento monadico” (Recalcati 2010, 202).
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Il ripetuto accostamento tra violenza e vivande trasfigura Pusher 3 in una versione psicotica de Il pranzo di Babette (Gabriel Axel, 1987). Il film è ambientato in gran parte nelle cucine, nelle sale da pranzo in cui Milo si adopera per moltiplicare vassoi di prevodom e involtini primavera, prima di finire tra gli stessi fornelli i suoi nemici a colpi di martello. Si sovrappongono il cucinare e l’uccidere, l’uomo e il bestiame, nella brutta fine di Rexho appeso come un quarto di bue, dissanguato alla maniera halal, eviscerato, sporzionato, impacchettato (ennesima citazione hooperiana).