Diamanti Grezzi – Safdie bros, 2020 / Parte 2

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Ludopatia e libido. 

La regia spiritata e clamorosa dei fratelli Safdie sposa brillantemente la prospettiva alterata di Howie, soggetto patologico di una mania evidente – laddove la mania implica con precisione un soggetto che “vive in puri presenti, nell’assoluta deficienza della temporalizzazione” (Binswanger 1983, 98), in preda a un senso delirante di euforia. Ecco allora che in Howie – un Adam Sandler alla miglior prova della sua carriera – “l’espansività, l’entusiasmo, l’iperattività, l’evasione, l’agitazione motoria, la logorrea, l’esaltazione […] sono manifestazioni della pulsione di morte” (Recalcati 2019, 109).

Pulsione di morte (todestrieb) che non significa tendenza suicida, ma consiste al contrario nell’estremizzazione del principio di piacere, che spinge la vita organica a recuperare l’inerte beatitudine della materia inanimata – o il vuoto caldo e torpido del grembo materno. Netta l’influenza del magnifico “The Gambler” di Edgar Reisz (1974), nel quale uno spiritato James Caan, forse alla miglior prova in carriera, mette in scena la progressiva convergenza di principio di piacere e pulsione di morte attraverso il gioco. Rispetto al personaggio di Caan, ormai assuefatto all’energia libidica sprigionata dalla ludopatia, Howard non è un caso così disperato. Anzi, è un satiro. Ma la sua attività sessuale è proporzionale alla sua attività di gioco (“I’m gonna fuck the living shit out of you tonight”). Infatti, l’unico periodo in cui non scommette è fatalmente quello in cui tronca con l’amante, e nel primo piano finale estinzione ed estasi coincidono.

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Lauren Hutton e James Caan in “The Gambler”.

Altra grande prova dei Safdie dopo “Good Time”, altra grande prova di Sandler dopo “Punch Drunk Love”, “Diamanti grezzi” si candida di diritto come miglior film di questo inizio 2020.

 

★★★★☆

 

Suspiria, Freud, Jung (Parte 2)

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Suspiria mette a nudo l’aspetto ritualistico della danza, la sua potenzialità di scatenare le forze irrefrenabili dell’inconscio.

(…continua)

Jung concepisce gli archetipi come forze arcaiche universali sedimentate nell’inconscio collettivo, che tornano ad agire attraverso le epoche storiche sotto varie forme, immagini, motivi, comportamenti. Non è esagerato affermare che in Suspiria la caratterizzazione dei personaggi principali è basata in maniera sostanziale sulla caratterizzazione junghiana degli archetipi. Susie assume il ruolo di una forza a-storica ancestrale che restaura l’equilibrio perduto nel quadro di una lotta fra un Es violento e traboccante (Markos) e un Superego impotente (Klemperer), a causa della quale l’Ego (Blanc) e la sua funzione mediatrice rischiano il collasso. La protagonista, che sembra all’inizio rappresentare il percorso di formazione del , assume invece l’archetipo junghiano dell’Ombra, l’irrazionale represso che è la parte più tenebrosa e aggressiva dell’inconscio personale e collettivo.

Ma le associazioni junghiane si moltiplicano: Markos è il Trickster, l’imbroglione cosmico (ma anche la Madre), Madame Blanc e i suoi tratti androgini richiamano al lato femminile della psiche, l’Anima, mentre l’anziano Klemperer, sotto i cui panni si nasconde ancora una volta una donna, rappresenta la controparte maschile, l’Animus (ma anche il Vecchio Saggio). Il sabba simboleggia il processo rituale mediante il quale l’inconscio, da personale, si rivela collettivo, erompendo in tutta la sua furia castigatrice per sancire una ri-equilibrazione funzionale. In un tripudio gore, Susie assurge a figura messianica che dispensa morte e salvezza, scatenando la furia menadica delle streghe in un sanguinolento lavacro rituale.

Si potrebbe discutere a lungo sulla natura benefica, malefica o neutra della mater suspiriorum, che era delineata ben più nettamente nel Suspiria argentiano. L’azione di Susie alterna crudeltà e compassione, creazione e distruzione, risultando dunque più riconducibile al mondo naturale che all’etica umana e alle sue rigide dicotomie. Nel finale dona a Klemperer la grazia dell’oblio, dopo aver affermato “Abbiamo bisogno della colpa e della vergogna, ma non della sua”. Al di là del palese riferimento all’Olocausto è opportuno interpretare queste parole in linea con il suo intervento, volto a punire un potere illegittimo (Markos) e le sue sostenitrici. Chi persegue scopi personali tramite un potere collettivo abusa di quel potere, meritandosi il fardello che ogni abuso porta con sé: la colpa e la vergogna.*

★★★☆☆

 

* I concetti di shameguilt sono alla base di una lunga letteratura antropologica (il caposaldo è Benedict 1949) che indaga il rapporto fra controllo emotivo della collettività e mantenimento dell’ordine sociale.