Suspiria – L. Guadagnino, 2018

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Tilda Swinton si sdoppia: Madame Blanc, il Prof. Klemperer.

(Attenzione: spoiler qui e là)

Non è un remake, quanto piuttosto una riscrittura autoriale carica di tutte le suggestioni che il Suspiria originale non ha mai voluto racchiudere. Se infatti ritroviamo integre la scuola stregonesca, la giovane studentessa americana e la mater suspiriorum, tutto il resto muta in maniera sostanziale, dall’ambientazione urbana (una piovosa Berlino al posto della boschiva Friburgo) alla fotografia balthusiana di Mukdeeprom, che sfrutta un’ampia paletta di grigi (contrastando con lo sgargiante technicolor utilizzato nell’originale da Luciano Tovoli), ai molteplici riferimenti all’Olocausto…

Il Suspiria di Guadagnino è inoltre un denso groviglio di temi dal quale solamente un saggio critico riuscirebbe a estrarre una compiuta sintesi di traiettorie interpretative. Mi limito qui a postare due irrisori contributi per una lettura psicanalitica del film, il primo dedicato a Freud, il secondo a Jung. Diversi critici hanno evidenziato la pertinenza di questi autori sull’opera di Guadagnino. In particolare, la magistrale triplice interpretazione di Tilda Swinton (Blanc, Klemperer, Markos) odora lontano un miglio di triade freudiana.

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Non c’è due senza tre… Madre Markos, ancora Tilda Swinton.

A Helena Markos corrisponde l’Es, che secondo la descrizione di Freud è un’istanza pulsionale sommersa che sa solo desiderare (1923), premendo ciecamente verso la soddisfazione dei propri impulsi. Celata nelle profondità dell’accademia di danza, Markos preme per evadere dal nascondiglio (e dal proprio corpo) al fine di impossessarsi del corpo delle allieve più giovani e dotate. Spetta al Superego il compito di reprimere le pulsioni dell’Es, ruolo assolto dal professor Klemperer, testimone impotente della barbarie nazista (prima) e della malefica congrega di streghe (ora). Klemperer può essere visto come il bagaglio vetero-razionale dell’umanità novecentesca, incapace di ridurre la complessità del mondo in categorie logiche, scalzato dalla furia incontrollabile dell’irrazionalità archetipica. Un Superego ingolfato e appesantito da un’eredità culturale ingenuamente positivista, castrato nella sua capacità di azione (e opposizione) morale.

Se il ruolo dell’Ego spetta a questo punto a Madame Blanc – mediatrice fra le streghe e l’esterno così come l’io media fra pulsioni istintuali e proibizioni sociali –, è tuttavia l’intervento di Susie, autentica mater sospiriorum, che restaura l’equilibrio della comunità stregonesca castigando l’usurpatrice (Markos) e le sue ingenue seguaci. E qui entra in gioco l’eredità junghiana (continua…)

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