
Una fotografia slavata e tiepida, come un album di famiglia.
In occasione della pubblicazione delle sue memorie, Fabienne, storica diva del cinema francese, riceve a Parigi la figlia Lumir, con al seguito il compagno Hank e la figlia Charlotte. Allo scenario domestico fa da contraltare il set sul quale Fabienne gira un melò fantascientifico dove interpreta una figlia invecchiata a cui la madre più giovane (la stella in ascesa Manon Lenoir), congelata nello spazio, torna a far visita ogni sette anni.
Kore’eda prosegue l’analisi della disgregazione dei ruoli familiari, articolandola tramite una frammentaria mise en abyme in cui i due livelli della diegesi si riflettono in una sorta di specularità inversa. Lumir, figlia a cui manca la madre, si riconosce in Manon, che sul set è una madre a cui manca la figlia; Fabienne cerca invano l’identificazione con lo stesso personaggio, eternamente giovane.
Le tensioni latenti fra madre e figlia, alimentate dalla memoria di un lutto, evocano le atmosfere di “Father and Son” e “Still Walking“, stemperate però dalla verve di Catherine Deneuve che ammicca furbescamente alla Swanson di “Sunset Boulevard“.
★★★☆☆
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