
Uno dei pochi voyeurismi che si è concesso Whannell – forse addirittura un po’ troppo austero.
L’uomo invisibile di Wells era il protagonista di un romanzetto moraleggiante che sotto la buccia fantascientifica indagava il rapporto tra impunità e sentimento morale. Il focus è completamente sovvertito in questo ennesimo adattamento di Leigh Whannell, in cui l’invisibilità non figura come simbolo dell’impunità ma diventa metafora della virtualità permeabile che filtra in tutti gli aspetti della società contemporanea.
Rispetto al voyeurismo sguaiato di Verhoeven (“L’uomo senza ombra”, 2000) il thriller di Whannell prende una svolta femminista. Stalkering, furto di identità digitale e cyber-violenza sono fattori ben più reali della tuta ottica con cui Griffin si ostina a perseguitare Cecilia (un’ottima Elisabeth Moss).
Corredato di una grammatica filmica efficace nella sua elementarietà (fatta salva la colonna sonora belluina da z-horror), “L’uomo invisibile” scorre ben teso su una sceneggiatura snella e vibrante che alterna frizzanti colpi di scena a succose splatterate. Ripresi da “Saw” l’arcinemico ingegnoso e il gusto per le “surprise”, Whannell si conferma, dopo “Upgrade”, un ottimo interprete del genere.
★★★½☆☆
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