La forma dell’acqua – G. del Toro, 2018

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Anni ’60, Baltimora. La giovane Elisa Esposito (Sally Hawkins), muta dall’infanzia, scopre nel laboratorio dove lavora come donna delle pulizie una creatura anfibia dall’aspetto umanoide. Il sadico colonnello Strickland (Michael Shannon) riceve dal generale Hoyt l’ordine di sopprimere la creatura e vivisezionarla prima che la scoprano i sovietici, rappresentati in segreto dall’ambiguo dottor Hoffsteller (Michael Stuhlbarg).

Elisa, impietosita, decide di salvarla con l’aiuto dell’amico Giles (Richard Jenkins).

Commento

Il film confezionato da del Toro è un romance fiabesco screziato da contaminazioni erotiche e horror, che oltre ad affiorare visualmente evocano  plurimi riferimenti archi-testuali. Esplicito il rimando a Il mostro della laguna nera (J. Arnold, 1954), incubo d’infanzia del regista, ma anche evidente l’ispirazione shelleyana: Frankenstein è l’archetipo dell’alterità percepita come devianza da emarginare e da sopprimere.

Ovvia la lettura sociologica. Ad uno stereotipico antagonista angry white male, bigotto e brutale, si oppone una schiera di coraggiosi emarginati: una donna di colore, una muta, un omosessuale, un russo e, ça va sans dire, la creatura. La fiaba romantica si configura dunque come un invito a coltivare la propria marginalità per sovvertire un ordine costituito marchiato da un conformismo repressivo e discriminatorio.

La semplicità dell’intreccio, riducibile a stilemi proppiani*, e la correlata carenza di complessità psicologica ravvisata negli antagonisti, artificiosamente fedeli al ruolo assegnato, non intacca in maniera eccessiva la qualità del film, segnato da una grande cura degli ambienti e delle singole scene, esaltato da gustose sequenze macabre e attraversato da una pulsante vena di erotismo.

★★★☆☆

*Il riferimento è a Vladimir Propp, Morfologia della Fiaba.

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