Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).
Sopra, Alice nello specchio; sotto, La toilette di Cathy
In quello specchio Jesse, come le donne di Balthus, e come l’Alice di Lewis Carroll, scopre un mondo infinito e ingannevole che la sottrae alla consistenza, alla pesantezza della realtà. Per tutta la durata dell’opera, Jesse rimane sentimentalmente ed eroticamente inaccessibile allo sguardo carico di desiderio dell’Altro.
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Nel momento in cui bacia il proprio riflesso uno e trino, Jesse si aliena da sé (dalla precedente versione di sé) e si consegna al feticcio del proprio riflesso, trasformandosi nella divinità algida e disincarnata che abita lo specchio.
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L’alone sfocato e brillante dei neon impedisce di lavorare sulla profondità di campo, ma avvolge le superfici in una glassa luminosa che leviga i profili e i materiali. L’ubiqua presenza di specchi contribuisce a levare profondità, fino a raggiungere una prospettiva bidimensionale tipica dei mosaici, della pittura bizantina. Alla pittura bizantina si rifanno anche gli sfondi, pseudo-monocromi dall’alto valore simbolico. Le donne vi sfilano come icone, riprese da una carrellata plastica che ricorda un’analoga carrellata nell’officina di Drive sulle carrozzerie lucide delle auto da corsa.
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Quella che ha luogo in The Neon Demon è quasi una narrazione cromatica, che si articola per mezzo dei colori e attraverso le loro reciproche conversioni e opposizioni. Da una parte il bianco dello shooting e del casting, spazio incolore in cui il corpo di Jesse si staglia come un idolo, ammaliando prima il fotografo e poi lo stilista. Poi, a luci spente, il corpo pallido e virginale di Jesse diventa per il fotografo un materiale alchemico da trasformare in oro, elemento che più di ogni altro “ha un senso ascensionale, sacralizzazione del corpo profano, ed è il metallo legato alla trasformazione e alla duttilità, si sparge, si polverizza, si liquefà, evoca la luce che non è, gli astri che non possiamo toccare.”[1]
[1] Alessia Astorri, recensione online su Gli Spietati, 12 gennaio 2016.
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L’estetica neonista ha una vocazione fortemente contrastiva, incastona colori violenti, vivaci fluorescenze in coni d’ombra, paesaggi notturni. Rispetto alla visualità cupa e vermiglia di Solo Dio perdona (curata da Larry Smith), la cinematografa Natasha Braier si avvale di una palette molto più varia e luminosa, ma non per questo meno straniante.
Come e più che in opere precedenti, i titoli di testa non assolvono una mera funzione formale ma sono pienamente integrati nel testo filmico, arrivando a relazionarsi con la diegesi in un rapporto di prossimità estetica e prefigurazione simbolica.
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Un’influenza illustre su The Neon Demon è ovviamente Suspiria (Dario Argento, 1977). Non solo cromie lisergiche virate al blu e al rosso, ma il bianco, il nero, l’oro e l’argento, cifre sfavillanti dell’equazione che definisce il mercato della bellezza, un matriarcato pervaso da poteri occulti di cui l’uomo può diventare testimone, medium, patrocinatore, ma mai possessore. Il potere, quello autentico, è in mano alle donne.
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Robert Zemeckis aveva già esposto il legame grottesco tra necrofilia e cosmesi in una commedia horror esilarante (La morte ti fa bella, 1992).
La differenza tra la bellezza radiosa, naturale di Jesse e quella sintetica delle altre è la stessa che intercorre tra il sole e il fanale di un’auto. L’accanimento con cui NWR dispone i corpi delle modelle in pose statiche, austere, li fa assomigliare a manichini (come già in Drive, e poi in Too Old To Die Young), tradendo un’ennesima influenza cinefila, quel Maniac (William Lustig, 1980) in cui il serial killer Frank Zito (Joe Spinell) arreda manichini con gli scalpi delle sue vittime (sotto).
Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).
The Neon Demon nasce dal rovesciamento dell’archetipo fiabesco che riunisce virtù verginale, purezza e innocenza: la protagonista Jesse “è come una Dorothy perversa venuta a incontrare il mago, ma lei stessa è il veleno che condurrà il mago alla follia, perché lei possiede ciò che tutti desiderano e lo sa.”[1]
[1] Jason Ward, “The Neon Demon: An interview with Nicolas Winding Refn” in Oh Magazine, 31 ottobre 2016.
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Winding Refn dirige questo spot nel 2012, anni prima di The Neon Demon, eppure sembra già racchiuderne le tematiche e le suggestioni. Una metropoli, una donna, un percorso iniziatico, uno shooting, una visione, una trasformazione. Il tutto immerso in un baluginio di ori, glitter, specchi e neon.