[17] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Per Fear X, Brian Eno non ha composto una colonna sonora ma piuttosto una maceria sonora; non melodie ma ronzii, disturbanze, dissonanze, brusii, rintocchi sintetici che risuonano in una soundscape frastornata da una tempesta di interferenze, a mimare su piano visuale i fiocchi di neve o i fiocchi di pixel che disturbano l’immagine. Un’estetica che insiste sulla concordanza paranoide tra i vari “effetti speciali” del linguaggio cinematografico, la cui sigla in inglese è proprio “FX.”

[16] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

John Turturro in Fear X, immerso in un amniotico filtro rosso.

Il feticcio dell’immagine, del riflesso, della fotografia, del VHS (supporto significativamente già obsoleto nel 2003, anno di uscita del film), opera come un cancello sbarrato verso l’implicita domanda di apertura verso il mondo.

La configurazione narrativa di Fear X corrisponde esattamente al delirio psicotico: “c’è chi resta incatenato tutta la vita alla magia seduttiva dello specchio, c’è chi non esce più dal suo regno incantato e malefico. Questo imprigionamento può oscillare dal normale narcisismo sino alla paranoia” (Recalcati 2018, 21).

[14] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Lo spettatore, come il protagonista, deve interrogare i frames in un estenuante processo di estrapolazione e interpretazione, compresi i titoli di coda.

Fear X tende al recupero, sulla scia di una tradizione inaugurata da Michelangelo Antonioni (Blow-Up, 1966), di una registrazione della realtà intesa non meramente come atto di neutra archiviazione dei fatti, ma piuttosto, in una prospettiva nietzschiana e postmoderna, come processo inevitabilmente demiurgico di creazione e manipolazione della realtà. Emulando in particolare Strade perdute (David Lynch, 1997), il delirio orfico del protagonista disassembla la realtà, ricostruendola in un alfabeto simbolico governato da regole di sostituzione metaforiche e metonimiche.

[13] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Il film si apre con uno sguardo che s’infila tra una cortina di tende rosse, anticipando alcuni dei motivi ricorrenti: il voyeurismo, l’occultamento, il colore rosso, la simmetria.

Con un tono compassato e contemplativo che si distanzia dai film precedenti, Fear X racconta le indagini di una guardia giurata paranoica, Harry Cain (John Turturro), in cerca dell’omicida della moglie. Harry non si limita a piangerla: intraprende a partire dalle immagini, attraverso le immagini, una quête impossibile alla ricerca della moglie, come se il brusio indistinguibile dei simulacri (in inglese l’anagramma “ear f-x” suona come “ear effects”) potesse in qualche modo riportare in vita Claire, come la melodia orfica che riportò alla vita Euridice.

[10] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Una poetica che gioca sul fato, gioca sulla violenza e gioca anche sulla vertigine, ciò che in Eschilo sarebbe dine – rotazione, ciclo, spirale, gorgo, mulinello, vertigine. Innanzitutto come senso di accerchiamento, dalla combinazione di una handicam balzellante e un labirinto di anditi angusti, dominati da viraggi contrastivi.

[9] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Il gioco cinefilo contagia in Bleeder la totalità del linguaggio filmico nelle sue componenti atomiche, a cominciare dai titoli di testa, poi la luce, l’onomastica (Leo-Lea-Lenny-Louis-Louise), la colonna sonora e ovviamente l’enfasi sul colore (a compensare il daltonismo di Winding Refn).

Come nota Leonardi nel suo pezzo per il dossier monografico di Nocturno,

“Ogni personaggio è segnato da una particolare fotografia che lo inserisce in un contesto luministico differente: per l’asociale e malinconico Lenny, commesso di videoteca, è una scala di grigi e penombre; per la donna che ama, la silenziosa Lea, il blu e spiragli di luce bianca; per l’aggressivo operaio Leo, il rosso e l’abisso cupo del nero; per sua moglie Louise, il giallo e i pastelli che colorano le sue speranze acerbe.”

[7] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Emotivamente castrato, Frank (Pusher) non è capace di relazionarsi con gli altri che attraverso una scala di violenze, fisiche o psicologiche, dirette indirette, serie o simulate. Tuttavia, non è pronto ad assumere la portata eroica che l’esercizio della violenza porta con sé nel cinema refniano (basti pensare al Ryan Gosling di Drive). Il finale aperto, sospeso, di Pusher, lascia intendere che finirà vittima di Milo, il gangster con cui ha accumulato un grosso debito.

È Frank stesso a ostruirsi l’unica possibile via di uscita, una romantica fuga in Spagna con Vic (“The hell would I do in Spain?”). Nessun miraggio esotico alla Dillinger è morto (Marco Ferreri, 1969), alla Carlito’s Way (Brian De Palma, 1993), nessuna redenzione. In chiusura il montaggio alterna la fuga in taxi di Vic e la preparazione dell’agguato ordito da Milo a una serie di primi piani statuari, incombenti, con Frank immerso in una luce inacidita.

[6] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Bleeder, il lavoro più sottovalutato e incompreso della produzione refniana.

Sfuggita quasi a tutti, la chiave di volta dell’intero film è una breve scena che inizia a 25:39, in cui Louis si reca a casa della sorella Louise con un trapano per appendere uno specchio. Comincia con un campo medio in cui vediamo Louise al centro della scena, in un angusto rettangolo tra i muri del suo appartamento, quasi fossimo dall’altra parte dello specchio.

[5] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Mentre Frank (Kim Bodnia in Pusher) non accetta la propria identità di genere, Leo (Kim Bodnia in Bleeder, secondo lungometraggio di NWR) non accetta la propria identità di padre. Feticisticamente attaccato a poche inutili carabattole come espressione di una libertà mai realmente goduta, che vendica le frustrazioni delle proprie speranze disilluse sulla moglie che sposta, rimuove i feticci: This is my life! / Aren’t I your life too? E segue il violento pestaggio che la porterà all’aborto. In queste battute si condensa il dramma, così come in quella seguente: I was never asked. Fuck, I don’t want a kid in this shitty world, quasi una contre-plongée in cui l’intera stanza, sotto l’effetto delle lenti anamorfiche, pare curvarsi, ripiegarsi su sé stessa.

[4] Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato

Estratti e riferimenti dal mio prossimo volume (in uscita per Falsopiano nel 2022).

Sempre in Pusher, il disprezzo di Frank verso il genere femminile si può ricondurre a un’omosessualità latente e repressa, sulla falsariga di quanto Wood scrisse a proposito di Toro scatenato (Robin Wood, “Raging Bull: The Homosexual Subtext in the Film,” in Michael Kaufman, a cura di, Beyond Patriarchy. Essays by Men on Pleasure, Power and Change, Toronto-New York: Oxford University Press, 1987).

Come in Toro scatenato, l’aggressività verso il genere maschile segna la difesa contro il ritorno dell’omosessualità repressa, secondo un tipico schema freudiano – “io non lo amo, io lo odio.”

Il vero indizio in questo senso giunge in apertura, un bacio breve ma intenso tra Frank e Tonny in cui è il primo a prendere l’iniziativa, e a compiere, per la prima e unica volta nel film, un gesto d’affetto. L’indole anaffettiva e violenta di Frank deriverebbe dunque dall’impossibilità di palesare la propria identità sessuale in un patriarcato tossico.